di Gaetano Fimiani
Napoli non è solo una città: è un’esperienza viva, una memoria che non si lascia addomesticare.
Nata da leggende e secoli di storia, continua a vivere sospesa tra la rovina e il riscatto.
Le sue strade raccontano la fatica di un popolo che ha imparato a convivere con il dolore e la speranza.
Il tempo qui non scorre in linea retta: si avvolge su sé stesso, portando alla luce, ad ogni angolo, il peso e il dono del passato.
Nel ventre di Napoli si è formato un crogiuolo di culture.
Arabi, Greci, Spagnoli, Francesi hanno lasciato tracce profonde, fondendo credenze, lingue, visioni.
È da questo fondo inesauribile che la città ha tratto la sua umanità accogliente e inquieta.
Sulle pietre antiche della Federico II, la prima università laica d’Europa, il sapere ha camminato libero, coltivando una visione del mondo aperta e ribelle.
Giambattista Vico, partendo da questi vicoli, ha riscritto la storia come impresa umana; Benedetto Croce vi ha difeso la libertà come dignità irrinunciabile.
Matilde Serao, figlia inquieta di questa città, ha saputo guardare senza veli il dolore e la grandezza di Napoli, raccontando il volto oscuro e tenero di un popolo mai domato.
Ancora oggi, all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, tra pareti consumate dal tempo, si preserva l’eredità di una cultura che non si arrende, fedele all’idea che il pensiero resta l’ultima forma di resistenza.
Napoli non si offre in posa. Vive.
Nelle chiese cadenti, nei mercati assordanti, nelle voci di chi la abita.
Qui, l’humanitas è sopravvivenza quotidiana, consapevolezza dolorosa, volontà di bellezza anche tra le macerie.
In un mondo che dimentica in fretta, Napoli resta.
Testimone imperfetta e necessaria di ciò che significa essere uomini.