Diario del lettore

Che cosa significa leggere? Cosa ci spinge ai libri? Cosa proviamo quando leggiamo?  Non ci sono risposte giuste o sbagliate a queste domande, perché ognuno vive un rapporto diverso e unico con la lettura. In questa rubrica proveremo a raccontare le varie sfaccettature che caratterizzano l’esperienza di lettura  cercando di definire e mappare il tipo di sensazioni che suscita un buon libro.

di Luca D’Angelo

Lettore #4

Quando mi ritrovo dinanzi a un libro incomincio ad ipotizzare quale sia il suo contenuto a partire dalla sua fisicità, dal suo aspetto propriamente fenomenico. Per me, l’azione contemplativo-preparatoria che precede l’atto della lettura è molto importante. Quando l’animo vorace di conoscenza, che arde dalla voglia di sapere, si acquieta mediante l’azione meditativa, ho la possibilità di porre la mano su quel cumulo di pagine che si oppone al mio essere. Nel momento in cui apro il libro il cipiglio precipita vertiginosamente verso quelle parole scritte, verso quel nero su bianco. È a partire da questa fase che le pupille dilatatesi cominciano a seguire le varie parole che si susseguono secondo un ordine aprioristico. Di primo acchito la lettura che eseguo è puramente estetica poiché lo sguardo non può fare a meno di notare la moltitudine di lettere, la loro combinazione che genera parole, le quali a loro volta costituiscono periodi, più o meno complessi a seconda dei casi (e non dimentichiamoci della sonorità della parola che prima di ogni cosa è significante e poi significato). Successivamente, cerco con una certa morbosità, le strutture di ragionamento portanti del libro affinché possa interiorizzarne l’essenza, ovvero cerco di comprendere con una pseudo analiticità il significato di un determinato libro. La lettura di un libro (o di una qualsiasi altra cosa che possa essere letta) implica uno scontro che delle volte può avvenire in modo anche violento. Leggere per me significa impelagarsi in questioni sconosciute o complesse dalle quali non è facile districarsi. Occorre tempo per leggere, ma soprattutto per imparare a leggere nel modo giusto. Ciò naturalmente non scalfisce minimamente la bellezza della lettura, anzi la rende più entusiasmante.
Uno di quei libri che mi ha stupito di più e che mi ha sicuramente impartito più insegnamenti sulla vita è Storie di ordinaria follia di Charles Bukowski. In questo libro, lo statunitense Bukowski dà sfogo alla sua più fervente fantasia creando storie che sfiorano la dimensione paranormale, ma lo stile di quest’autore è in grado di ancorarle alla realtà, grazie al suo modo così realistico di esprimersi: non a caso viene definito dalla critica come il “realista della parola”. Un altro elemento che mette in evidenza il suo stile è dato dalle storie/aneddoti relativi alla sua vita passata, che vengono raccontati con una chiarezza e una linearità che ho riscontrato in pochissimi libri.
Da ciò si può evincere in modo incontrovertibile che il protagonista indiscusso di queste storie è l’autore stesso: delle volte è lui, altre volte sono delle sue trasposizioni o trasfigurazioni.
Ma chi è Charles?
Charles è uno straccione da quattro soldi che gira per le strade dell’America degli ‘60/’70 senza nemmeno un centesimo in tasca, ma ha una grande voglia di vivere quanto di scrivere le situazioni che gli capitano e non solo…
Bukowski ama così tanto vivere e raccontare la vita attraverso la sua lente che ha preferito essere uno squattrinato senza lavoro in una società prettamente capitalista e ossessionata dal lavoro per non essere sottoposto al giogo di quei macchinosi processi sociali. Ama vivere e raccontare la sua vita pieni di eccessi e non ha paura di portare alla luce le falle di una società apparentemente sviluppata.
Questo scrittore mi ha insegnato a vivere la vita nonostante le innumerevoli avversità: per vedere il miglior spettacolo di sempre non c’è nemmeno bisogno di pagare il biglietto, poiché basta uscire fuori dalla propria casa.

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