La cultura come cura: un percorso filosofico

di Francesco Bevilacqua

Nel vasto panorama delle teorie filosofiche che hanno riflettuto sulla cura di sé, due figure eminenti emergono come fondamentali punti di riferimento: Michel Foucault e Pierre Hadot. La loro riflessione sulla cultura come strumento di cura dell’anima e del corpo offre un’affascinante prospettiva su come l’educazione e la ricerca possano contribuire ad un miglioramento individuale e collettivo.

Foucault, con la sua critica radicale delle istituzioni del potere e delle norme sociali, ci invita a interrogare noi stessi, ad una completa messa in discussione della soggettività per fare di essa il perno di una rinnovata “estetica dell’esistenza”.

Hadot invece, anche grazie ai numerosi contatti accademici con lo stesso Foucault, ci ricorda l’importanza di riscoprire “l’arte di vivere”, un’accortezza rivolta al presente attraverso una pratica filosofica quotidiana. Mediante l’analisi di questi due pensatori, cercheremo di esplorare i “percorsi filosofici” che conducono ad una profonda comprensione del significato della cultura come cura di sé. 

Michel Foucault (1926-1984), influente filosofo e teorico francese, è principalmente noto per le sue illuminanti analisi sul potere, la disciplina e le istituzioni sociali.Le sue opere più influenti, come “Storia della follia nell’età classica” (1961), “Sorvegliare e punire” (1975) e “La volontà di sapere” (1976), sono state scritte in un’epoca caratterizzata dalla contestazione delle istituzioni tradizionali, dalle lotte per i diritti civili e dalle trasformazioni nel campo della cura psicologica e psichiatrica.

Di cruciale rilevanza è la sua critica al concetto tradizionale di potere, inteso tradizionalmente come una forza che, semplicemente,  proviene da un centro di comando e che, invece, Foucault qualifica come il risultato di una dinamica più complessa, che ha a che fare con il modo in cui i singoli interagiscono tra loro. Egli descrive piuttosto i meccanismi delle relazioni di potere, o giochi di verità,  insiti persino nelle più banali e consuete relazioni umane e sociali: una forza che insinua i suoi fili in qualsiasi piega o ferita, plasmando e veicolando il soggetto nel suo rapporto con il mondo.

Centrale per la nostra analisi è proprio la sua prospettiva critica e provocatoria, insieme al suo forte interesse per la filosofia classica, attraverso cui invita a esaminare attentamente il rapporto tra la conoscenza e le “pratiche di sé”: ciò che, utilizzando le parole dello stesso Foucault,  potremmo definire una pratica ascetica, dando all’ascetismo però un significato molto generale, non il senso di una morale della rinuncia, ma quello di un esercizio di sé su di sé, attraverso cui si cerca di elaborare se stessi, di trasformarsi ed accedere ad un certo modo di essere.

Tuttavia, alla parte decostruttiva del pensiero foucaultiano, segue, inevitabilmente, un versante di ri-costruzione, di sfida a riappropriarci di noi stessi, a trasformare la cultura in uno strumento di emancipazione e di cura, una strada che, partendo proprio dall’uomo, dal suo “farsi soggetto”, porta alla costruzione di nuove pratiche di resistenza strettamente legate ad una rinnovata economia del potere.Per Foucault, infatti, la cultura può diventare un vero e proprio mezzo, un mezzo per resistere alle forme di dominio provenienti dal potere e per creare spazi di libertà individuale.

In continuità con le riflessioni foucaultiane, Pierre Hadot (1922-2010), filosofo e storico francese, ha offerto un prezioso contributo al tema legando strettamente il suo pensiero e la sua “esperienza vissuta”, a partire proprio dal suo incontro con la filosofia e ciò che egli, sulla scorta di Romain Rolland, ha chiamato “oceanic feeling”: un sentimento di stupore e meraviglia, legato al senso d’illimitatezza suscitato dal mondo; essere uno con il mondo nel suo insieme, che può benissimo “non essere eterno, ma semplicemente senza limiti, come l’oceano”.

Hadot si inserisce in tale riflessione guardando alla filosofia non soltanto come un’attività teoretica, quanto, piuttosto, come un modo concreto di vivere, fortemente legato e radicato alla pratica quotidiana. Egli approfondisce le antiche tradizioni filosofiche, come lo stoicismo, l’epicureismo e il platonismo, cercando di ricostruire il loro portato esistenziale e le strategie che promuovevano per raggiungere una vita equilibrata.L’analisi hadottiana, a differenza di quella di Foucault, si concentra sulle pratiche spirituali e filosofiche che possono condurre al raggiungimento di uno stato di armonia e trasformazione personale attraverso “la filosofia come modo di vivere”.Hadot ha infatti sottolineato l’importanza degli esercizi spirituali, come la meditazione e la riflessione filosofica, al fine di sviluppare una relazione consapevole con se stessi, gli altri e il mondo circostante. Questa prospettiva si intreccia, anche per motivi più propriamente storiografici, con le critiche di Foucault al sapere come strumento di controllo, invitando ad una riappropriazione personale e consapevole di sé.

Risulta allora interessante, come si desume dalle analisi dei due autori, vedere come, nelle nostre società, a partire da un certo momento, non precisamente collocabile, la “cura di sé” sia diventata qualcosa di un po’ sospetto. 

Da un certo momento in poi occuparsi di sé è stato ripetutamente denunciato come una forma di amore di sé tendente all’ egoismo o all’ interesse individuale, in contrasto con l’attenzione che bisogna provare nei confronti degli altri. Tutto ciò trova le proprie radici nel Cristianesimo, ma non è semplicemente dovuto ad esso. La questione è sicuramente molto più complessa, laddove anche la salvezza promessa dalla religione spinge ad avere un certo tipo di cura di sé. Ma nel Cristianesimo, questa la sottile analisi foucaultiana, la salvezza si realizza con la rinuncia a se stessi. Vi è un ineludibile paradosso nella cura di sé sostenuta dalla religione cristiana. Presso i Greci e i Romani, invece, per comportarsi bene e per praticare la libertà era necessario occuparsi di sé, avere cura di sé, e questo al fine di conoscersi ed andare oltre se stessi, per padroneggiare gli appetiti che rischierebbero altrimenti di prendere il sopravvento: ecco l’aspetto familiare della massima delfica del γνῶθι σαυτόν (conosci te stesso).

Attraverso le visioni complementari di Foucault e Hadot, possiamo allora tentare di tracciare una prospettiva ricca e stratificata su più livelli circa la considerazione della cultura come cura e la sua stretta correlazione alla filosofia come pratica di trasformazione personale. Il filo rosso che tiene insieme questi due pensatori ci invita ad esplorare le strade che conducono ad una visione più profonda e autentica dell’esistenza, in cui la cultura e il sapere diventano strumenti di guarigione, riscatto e realizzazione di sé.

In questo senso occorre dunque interrogarsi sulle istituzioni che influenzano la nostra vita quotidiana ed, insieme, esplorare nuovi percorsi di emancipazione attraverso un approccio critico alla conoscenza e alle idee che, tutti i giorni, arrivano, come mosche fastidiose, alle nostre orecchie. La strada illuminata da questi due importanti pensatori ci spinge a considerare la cultura come una risorsa potente per una trasformazione individuale e collettiva, aprendo ad una visione della cura come un’azione politica, filosofica e rivoluzionaria.

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