Tra montagna e pianura: riflessioni

di Francesco Maria Bevilacqua

Il concetto di “casa” rappresenta spesso una dinamica complessa e personale che accompagna l’uomo nei sentieri della vita. Trovarsi lontano dal paese natale per ragioni di studio, lavoro o altre circostanze porta con sé una molteplicità di esperienze, riflessioni e sfide. Lontano dal proprio luogo d’origine, ci si immerge in nuovi ambienti, culture e prospettive che iniziano a modellare la nostra visione del mondo. Attraverso questa analisi, cercherò di delineare il significato, tutto personale, di “casa” e il mio ruolo all’interno di questa dualità di esperienze, abbracciando la complessità dell’identità e dell’appartenenza in un mondo in costante mutamento.
Io, attualmente, sono, per motivi di studio, in Germania. Lontano dal calore e dalle tradizioni che contraddistinguono l’amata e, al tempo stesso, odiata, Roccapiemonte. Questa esperienza, così ricca e travolgente, è come se riuscisse a pungolare il mio pensiero, avvicinandolo a riflessioni che abbracciano il significato di appartenenza e il concetto di “casa”. In questo breve articolo, mi propongo dunque di esaminare le differenze, i contrasti emotivi e le sfumature della mia identità sospesa tra questi due mondi così, apparentemente, distanti.
“[…] C’è una vecchia contrapposizione, che non è necessariamente tra il bene e il male, ma tra due caratteri umani diversi e complementari: l’uomo della montagna e l’uomo della pianura. Gli uomini della montagna sono chiusi, si isolano; gli uomini della pianura sono aperti, indulgenti. La montagna fa l’uomo chiuso, severo, ascetico; la pianura lo rende socievole, amabile, gaudente, a proprio agio e a suo agio col mondo esterno”.
Ispirato dalle dualità umane descritte in “La Montagna Magica” [Der Zauberberg] di Thomas Mann, dove le prospettive della pianura e della montagna delineano aspetti distinti dell’umano stare al mondo, mi ritrovo a domandarmi quale sia il mio posto in questo confronto: tra «quelli dell’alto», assuefatti, come fuori dal tempo, e « quelli del basso »—quelli della pianura—che vivono al ritmo degli orologi e del calendario. Chi sono io in questo panorama? Sono un abitante delle pianure o un esploratore delle montagne?
Non credo di poter ancora decretare quale dei due luoghi effettivamente rappresenti il “sopra” e quale il “sotto”, da dove io provenga e dove sia effettivamente finito, ma una cosa è certa: quest’ambivalenza, questa spaccatura, continuerà ad accompagnare le mie esperienze, formando il mio sguardo sul mondo.
Proprio a partire da questa suggestione, la quale attraverserà poi l’intera opera di Thomas Mann, mi sono trovato a riflettere, a fare i conti, per la prima volta, con la distanza da casa, con la mia permanenza in Germania, nella fredda Germania. Un’esperienza agognata, fortemente voluta e che, dopo non poche peripezie, ha avuto inizio.
I primi passi in una città straniera, si sa, spaventano sempre; ci si trova in balia di un vento diverso, tutto sembra avere un sapore ed un odore differente. Persino il cielo, nella sua profondità, sembra assumere altri colori. Dopo qualche notte, però, tutto appare più comodo, tutto a nostra misura, il mondo ci calza perfettamente addosso e le stesse esperienze si presentano sotto una luce diversa. Ed è forse proprio in questo momento che si diviene in grado di voltarsi, guardare al passato recente, interrogarsi sui luoghi e le persone che, naturalmente, quasi com’è naturale respirare, si sono tanto amati.
Soltanto rischiando la caduta si è in grado di trovare un nuovo equilibrio. Lontano dal posto che finora ho abitato, anche il tempo sembra scorrere diversamente, sembra prendere altre direzioni. Perde la propria linearità, inizia a ruotare vorticosamente, un secondo prima si è sull’aereo, tra l’agitazione per il volo e l’eccitazione dell’atterraggio, e, in un baleno, ci si trova per le strade di una città non-più-nuova, ma neanche troppo vecchia. E, proprio come sulla “montagna” descritta da Mann, il tempo sembra «una suora muta, un termometro senza graduazione, uno strumento per quelli che volevano ingannare » : le cifre sono scomparse; il tempo “normale” perde la sua forza, come su un orologio che, seppur funzionando, non segna più le ore.
Un tempo che sfuma nel suo trascorrere, non si fa neanche in tempo a “misurarlo” che già lascia tutto alle proprie spalle.
Eppure, ormai, anche Friburgo, sembra come casa. Ritornando nel mio appartamento la sera, dopo una giornata lunga ed esaustiva, ritrovo odori, sensazioni e persone a me ormai familiari. Il solito trambusto in cucina, l’accoglienza dei miei coinquilini, l’abitudinario raccontarsi della propria giornata passata tra corsi universitari e passeggiate senza una precisa destinazione.
Qual è, allora, il presupposto del sentirsi a casa? A partire da cosa si può dire che proprio quello è il luogo dove ci sentiamo casa? E poi, deve per forza esservene una di casa?
Queste non sono domande a cui si cercherà qui una risposta, le si pone soltanto a scopo riflessivo, come pungolo e stimolo per il nostro sentire e pensare.
Così come il protagonista dello Zauberberg vive un’esperienza di trasformazione durante il suo soggiorno al Berghof, la mia permanenza in Germania rappresenta un periodo di crescita personale, in cui le prospettive cambiano, le esperienze si moltiplicano e il concetto di ‘casa’ si arricchisce di nuovi significati. Come Hans Castorp, anch’io mi confronto con la temporalità in un modo diverso e, proprio come per lui, questo viaggio di esplorazione interiore mi tiene teso tra due diverse realtà.
C’è una parola tedesca che forse potrebbe aiutarci in queste considerazioni: “Heimat”. nella cultura tedesca questo concetto copre uno spettro di significati più ampio della semplice parola “casa” (Haus).
Questo termine si trova oltre l’idea di residenza fisica; è intriso di emozioni, ricordi, legami emotivi e culturali con un luogo specifico. “Heimat” può infatti essere interpretato come uno stato d’animo o uno spazio affettivo che rappresenta un senso di appartenenza e conforto, esso porta con sé una dimensione emozionale profonda, riflettendo il senso di appartenenza a un luogo, sia esso il proprio luogo d’origine o meno.
E, proprio in questo scenario di lontananza, la comprensione di cosa questo termine significhi assume quasi l’aspetto di un esercizio dell’animo, di un viaggio attraverso i ricordi, le esperienze e le tradizioni che evocano quel senso di appartenenza. Una ricerca che non si limita alla mera geografia ma si estende verso un legame emotivo con un luogo, trascendendo, così, il semplice confine fisico.
Non sono ancora sicuro dove, nella dualità descritta da T. Mann, potrei collocarmi e, ancora meno certo è quale dei due luoghi possa rappresentare la montagna e perché. Probabilmente quest’ambivalenza si presenta a tutti ad un certo punto della vita e, forse, comprendere quale sia il proprio posto, ammesso che ve ne sia effettivamente uno, potrebbe essere il vero viaggio di una vita intera.

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